David Gilmour ovvero quanto conta la tecnica?

(Photo by Neil Lupin/Redferns)

Benedetti siano i social. Sì, perché se li usi bene, possono diventare veicolo di interessanti discussioni e, spesso e volentieri, per quanto ti poni come uno che la sa lunga, finisci sempre per imparare qualcosa.

Dovete sapere che, da circa un mese a questa parte, sulla mia pagina di Facebook, ho dato avvio ad una sorta di diario musicale in cui mi sono divertito – con leggerezza – a vergare, qua e là, il mio punto di vista a seguito di alcuni ascolti, con lo spirito più semplice possibile ovvero quello di condividere un’esperienza personale per confrontarmi.

Quasi una settimana fa, dopo avere ascoltato quel capolavoro di Shine on You Crazy Diamond dei Pink Floyd, me ne sono uscito con questo ragionamento:

Ascolto per la milionesima volta Shine On You Crazy Diamond e, come sempre, non riesco a distogliere l’attenzione dai continui ricami orditi sulla Stratocaster dalle dita di Gilmour. La vulgata dice che Gilmour non sia un “mostro di tecnica”. La tecnica. Benedetta parola che mette sempre zizzania tra noi appassionati di musica (non solo rock). Continuo ad ascoltare e mi emoziono. Dato psicoacustico e pure un po’ antropologico. Lo so. La tecnica – va bene – ma al sevizio di cosa? Gilmour ne ha una tutta sua che lo porta a vergare passaggi lucidi e precisi, per nulla freddi; anzi, nel loro nitore, quelle frasi conferiscono calore a quanto si sprigiona dalle dita. Lui è sostanzialmente un chitarrista blues con la compostezza quasi ieratica dell’interprete classico-romantico. È lì la stufetta sempre accesa. Tecnica, quanta ne vuoi, ragazzo, ma se non hai un tuo stile, sei fregato, sei uno come tanti. Gilmour, no: lo senti subito in mezzo a mille chitarre. Una nota tirata, una frase melodica profilata di blue note e tanto buon riverbero valvolare. Stile e tanto (buon) gusto. Un tratto che lascia il segno.

Risultato? 55 condivisioni, oltre 5000 visualizzazioni e una valanga di commenti che non si arrestano nemmeno adesso mentre sto scrivendo. Un fiume in piena. Alcune repliche hanno catturato in modo particolare la mia attenzione per ricchezza di particolari e attitudine all’approfondimento. Per questo motivo mi piace trascriverle qui, visto che Facebook, poi, con il tempo, mette tutto “sotto” e lo streaming relega ogni post all’invisibilità.

La discussione, alla fine, è partita da Gilmour per planare sull’annosa questione di cosa sia la tecnica e di quanto pesi sulla resa interpretativa di un brano, ma anche in funzione di una valorizzazione “poetica” del brano stesso. Ovviamente non bisogna confondere la tecnica con la velocità, visto che quando si tirano fuori i “chitarristi tecnici” si citano certi centometristi delle sei corde (Malmsteen, Satriani, Vai, etc…). Particolarmente degno di menzione il dialogo costruttivo tra il chitarrista modenese Dario “Dazza” Laporta (The Stanleys) e il musicista genovese Fabio Casanova, in cui si sottolinea anche la base didattica:

DDL: Alla tecnica si attribuisce sempre un significato sbagliato. Suonare poche note, creare fraseggi semplici non significa necessariamente essere a digiuno di tecnica. La tecnica è un mezzo di espressione, chiunque ha una tecnica commisurata a ciò che si vuole esprimere. Il resto è gusto personale. Ci sono i virtuosi e i passionali e chi riesce ad essere entrambi. L’ importante è saper dare un’ impronta. Tutto il resto è soggettivo.

FC: secondo me molto dipende dal metodo di chi insegna, c’è chi preferisce la perfezione nelle pentatoniche a velocità soprannaturale, e chi preferisce assecondare il gusto e le attitudini dell’allievo, che magari non diventerà un mostro di tecnica ma maturerà un gusto suo, con la tecnica sufficiente ad esprimerlo… ho notato la stessa cosa anche per i cantanti e i batteristi…

DDL: Sì ma dipende anche da cosa uno vuole studiare e la direzione che vuole prendere. Io penso che di base un musicista (cantanti compresi) debba possedere timing, intonazione, fluidità e rudimenti di teoria musicale per poter almeno improvvisare a livello base sul repertorio scelto. Il resto è puramente opzionale. Se ad uno non importa o è meno propenso ad imparare tecnicismi vari, è chiaro che non lo farà a prescindere dall’insegnante.

FC: vero, dipende anche dalla propensione dell’allievo, ma lui si aspetta suggerimenti utili dall’insegnante, se l’altro gli dà input inadatti a lui è un errore, di cui l’allievo magari si renderà conto anni dopo, ma sarà già troppo tardi.

DDL: Aggiungo anche che la didattica si deve adeguare all’allievo e mai il contrario, perché ogni caso è diverso e contano molto anche le attitudini e gli aspetti del carattere di una persona. Voglio dire, ognuno alla fine deve trovare modo di esprimersi e fare quello che viene più naturale e optare magari con lo studio a farlo sempre meglio. Mentre spesso accade che l’insegnante si limita ad insegnare quello che sa come se fosse una lista della spesa senza minimamente considerare la personalità che ha davanti nonché la storia propedeutica che ha alle spalle. Oggi mi pare che la didattica sia più incentrata a creare falsi miti e virtuosi, quando dovrebbe solamente focalizzarsi sull’aspetto cardine, cioè portare alla consapevolezza e a prendere confidenza con ciò che si fa.

È lo stesso Casanova a esprimere il concetto di tecnica con un’immagine assai efficace: “Probabilmente in fondo la tecnica è una penna stilografica d’oro. Se uno ha qualcosa da scrivere, essa gli permetterà di scriverlo in bellissima calligrafia e senza macchie sul foglio. Se uno non ha niente da scrivere, la userà per fare la lista della spesa.”

Sempre sulla questione della tecnica si esprimono altri utenti: “A mio parere la tecnica è la base, solida e imprescindibile, che è al servizio del gusto personale e permette di farti suonare la nota giusta nel modo e nel momento giusti. Faccio sempre riferimento ad Hendrix: non improvvisava per magia, ma perché la sua straordinaria tecnica gli ha permesso una base eccezionale per spiccare il volo.” (Alberto Bianchi)

“Jimi Hendrix, il più grande chitarrista di sempre, a proposito della tecnica, domanda posta da un giornalista dell’epoca, rispose: “…non m’interessa, io mi occupo di emozioni”. Una risposta perfetta, direi.” (Angelo Di Nicastro)

Quanto a Gilmour e al brano, mi piace selezionare un paio di pareri che aiutano a capire meglio la questione: “Stile riconoscibile seppure non più unico perché copiato da tanti. L’ipertecnicismo dei giorni nostri porta a suonare tutti quasi uguali, con quelle cascate di note terzinate a velocità assurda o doppia cassa a 450 bpm sotto qualsiasi brano. Invece ciò che conta è continuare ad arricchire la tecnica, mai considerarsi “arrivato”, ma mettendola a disposizione dell’inventiva, del feeling e dello sviluppo di un modo personale di suonare lo strumento.” (Enzo Vitagliano)

“Hai proprio scelto una canzone che proprio banale non è; a parte il suo tocco caratteristico fatto di fraseggi blues, la progressione di accordi jazz che ci sono in questa canzone rock non ha eguali… un sapiente uso di accordi diminuiti messi al posto giusto per creare sospensione e pause ..un capolavoro assoluto …anche solo a pensare di inventarla una cosa così non è sicuramente da tutti…altro che 4 accordi” (Luca Mora)

“C’è chi fa mille note al minuto, di una velocità impressionante. Lui no, lui toglie, toglie, toglie finché resta una nota al minuto, ma è sempre quella giusta. Secondo il mio gusto musicale, lui è quello “giusto”, di meglio non ce n’è!” (Luigi Milani)

“Gilmour è sempre stato molto meticoloso sia nella ritmica, sia negli assoli. Ha sempre dato importanza ad ogni singola nota rendendo i suoi soli cantabili. Tecnica? Ne ha quanto ne basta per avere composto dei capolavori. Puoi sparare 1000 note al minuto ma non ti rimane nulla. Lui, invece,ha avuto sempre rispetto per la cantabilità della sua chitarra tirando un suono unico” (Massimiliano Monopoli)

“Gilmour non è che non ha o ha tecnica: Gilmour ha creato una tecnica… Guarda: io ho studiato con Umberto Fiorentino al Saint Louis di Roma e dico che se per tecnica qualcuno crede che si possa intendere che uno corra su e giù per la tastiera, beh, quel qualcuno si sbaglia. Ognuno ha una SUA tecnica, quando è un grandissimo. Questo è il caso di Gilmour che, peraltro, non è uno che se deve correre non lo sa fare. Peraltro sfido chiunque sulla chitarra steel di One of These Days a fare quello che fa Gilmour su e giù.” (Giuseppe Cappello)

Ci sarebbe stato anche altro, perché quel post è diventato un’agorà a forma di dedalo dalle labirintiche discussioni a domino. Per il momento vi dico grazie e spero di avere fatto cosa gradita, incastonando qui il bel momento vissuto insieme alla mia community di appassionati melomani irrecuperabili (Riccardo Storti)

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