TONY CARNEVALE – “Tu che mi puoi capire” (Soundtrack, 2023) – prima parte

Ogni volta che affronto un album di Tony Carnevale, devo prendere la rincorsa, ritagliarmi del tempo e non fare altro. È così. Sia bene inteso: ogni album è impegnativo, se lo si vuole “leggere” oltre la superficie delle note per poi trasmetterlo con quanto di meno adatto si possa pensare ovvero la parola. Ma è così, non si può sfuggire da simili automatismi (meccanismi critici o critici meccanismi?).

Tony Carnevale è un autore che, da quasi 30 anni, noi appassionati di progressive sentiamo (e non solo con le orecchie) parte di questo territorio espressivo; eppure limitare la sua vasta opera ad uno stile univoco non è rendere giustizia all’artista e artigiano di suoni quale egli è. Il solo fatto che parta e si muova dal pianoforte, per poi articolare ogni ordito attraverso un’attenta e appassionata elaborazione orchestrale di scuola, la dice lunga sui suoi manufatti, figli di percorsi complessi, nonché sorretti da un solido apparato estetico (la musica non solo suonata, ma anche quella pensata).

In lui c’è il rock, ma anche tanta formazione classica, attitudine scrittoria per la colonna sonora, sensibilità per la melodia, tanto popolare, quanto più strettamente accademica; ci sono tanto i ritmi etnici, quanto quelli di ascendenza blue, per non dire jazzistici (capiamoci al volo: in Carnevale si sente di più la lezione di Gershwin che non quella di Ellington). Sostanzialmente siamo di fronte ad un compositore contemporaneo di musica tonale colta e popular.

Il suo ultimo lavoro, uscito recentemente, reca un titolo con un referente generico (Tu che mi puoi capire) ma pure un paradigmatico sottotitolo (Immagini per pianoforte e orchestra), il che, sommato all’apparato didascalico delle note aggiuntive al disco, comunica subito una complessità d’impianto da fare tremare le vene e i polsi. E in soli 36 minuti di musica. Il tempo è sempre relativo, perché quel che conta è l’esperienza di ascolto.

Ce lo ricordiamo Eugenio Montale che si divertiva a seminare la sue poesie di “tu”? Ha fatto impazzire la critica letteraria. Invece il “tu” di Carnevale è sintesi di una pluralità: sono “alcune a persone che non ci sono più, altre a persone dalle quali ci si è separati ma delle quali si conserva una memoria affettiva e indelebile.” (dalle note del disco)

Una ricreazione della memoria che vive a parole solo in un episodio cantato (una reprise orchestrale di La vita che grida scritta ed eseguita con Francesco Di Giacomo e Rodolfo Maltese nel 1995) ma che scorre in tracce strumentali, vere e proprie partiture narranti incontri, discorsi interrotti, sogni, speranze ed episodi di meravigliosa leggerezza, antitetici alla seriosità del quotidiano; tutto “oltre le note”. La poesia si può anche esprimere mediante una tracklist (e ce lo ha insegnato bene proprio il Banco con …Di terra).

Un bel nodo sinestetico in cui i suoni sono immagini che raccontano qualcosa al di là (o al di qua) delle parole. Proveremo a metterci mano la prossima settimana. Stay tuned. (fine prima parte – Riccardo Storti)

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