TONY CARNEVALE – “Tu che mi puoi capire” (Soundtrack, 2023) – seconda parte

Entriamo finalmente nel disco. L’opener Il suono della tua voce si manifesta in tutte le possibili gradazioni dinamiche con l’intensità emotiva di un’ouverture perturbata, variata pure a livello stilistico: una pioggerellina di note pianistiche, quella “voce” lontana e gli ottoni in crescendo pronti a dare battaglia al nostro senso del ritmo, perso in un conteggio quasi impossibile tra 13/8 e 11/8: c’è il ricordo barbaro dello Stravinsky del Sacre du printemps ma anche qualcosa di selvaggio e latino dello Schaffrin soundtracker di film d’azione. Poi (a 1’48”) una pausa, una cesura, quasi un’apparente quiete dopo la tempesta: sono corni postromantici alla Brahms o memorie semi-prog dai Pink Floyd di Shine on You Crazy Diamond? Questione di poche, ma determinanti, battute, che ritornano con quel plot più avanti.  E la chiusa (3’08”) ci fa riassaporare il gusto del concerto per pianoforte e orchestra di derivazione chopiniana, mentre ritorna la voce per un finale dalla scrittura cinematografica morriconiana.

Quel discorso che non abbiamo mai finito… continua, perché queste sono “immagini” per piano e orchestra che narrano momenti, episodi con un calcolato senso di evanescenza mnemonica reso alla perfezione dalla partitura. Un tema arioso, di respiro ampio, certamente cantabile ma solo per quello strumento che scava figura dopo figura e restituisce il ricordo sottoforma di melodie e trame contrappuntistiche. E quei grappoli di terzine ci riportano alla metafisica quiete mozartiana dell’Adagio assai nel Concerto in Sol di Maurice Ravel.

Ad ogni nota, invece, fonde due nature: una poliritmica e l’altra “lirica”; la prima è  tessuta sull’alternanza di tempi (6/4 e 5/4): la baldanza degli accenti ha similitudini con …Di terra del Banco (in particolar modo con Io vivo). La seconda si apre su una melodia, ma con un pianoforte che, inizialmente, ha qualcosa di mitteleuropeo (quella mossa a 1’59” da concerto bartokiano…).

In Oltre le note Carnevale, pur in una prospettiva moderna, ricorre ad un modulo classico, infatti il brano, per struttura, assomiglia ad Scherzo per pianoforte nella consueta forma tripartita: nel primo movimento il motivo si snoda con un arpeggiato dissonante, una strana toccata fino a quando (1’05”) non si genera un soggetto melodico (tema A) che conduce ad un crescendo cromatico (erosioni tonali figlie di Berg); nel secondo prevale un ritmo accidentato, un po’ come negli stravinskiani Pupazzetti di Alfredo Casella; nel terzo c’è la ripresa variata del tema A ma molto più lento con uno sviluppo che va quasi a sfumare, sparire, nel silenzio.

La side B si apre con Pagine dal libro dei sogni, una micro-colonna sonora dove, però, c’è tutto; la sintesi tocca ogni aspetto: Carnevale non è solo il pianista che sa individuare la melodia ad effetto, ma è anche un abile ed esperto maestro concertatore capace di abbinare le voci orchestrali con profitto ed intensità. Un’orchestrazione finissima, qui elaborata timbricamente da campionature sonore; aspettiamo l’arrivo di una vera orchestra per un concerto dal vivo che restituisca naturalezza ai colori di queste pagine (va detto però che il risultato finale non risente affatto, in tal senso, di quell’artificiosità che talvolta ci potremmo aspettare, quando la tecnologia giunge in soccorso).

Il rock arriva nella riedizione de La vita che grida di cui ho accennato nella prima parte: sempre un piacere ascoltare la voce di Francesco Di Giacomo e la chitarra di Rodolfo Maltese, con la complicità delle tastiere emersoniane di Carnevale che, in tal frangente, arricchisce il brano di un consistente comparto ritmo-sinfonico.

Il congedo è leggero, intimo, ma, soprattutto, leggero: … al tempo meravigliosamente perso insieme: le ultime parole ad un pianoforte dalla scrittura romantica tra suggestioni classiche e progressive.

Tony Carnevale con Tu che mi puoi capire riconferma la vivace vena creativa a cui siamo abituati; oggi si avvertono maturità ed esperienza, nonché tesori formativi, circoscrivibili tra Novecento storico, progressive rock e colonna sonora; non solo possibilità stilistiche sfruttate in maniera personale, ma anche ferri di un mestiere (da insegnare alle nuove generazioni di musicisti).

(Riccardo Storti)

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