REDNAKS – “IXXXI” (TeleCineSound/ Bravagente, 2024)

Si fa chiamare Rednaks: se lo leggiamo al contrario, suona come Skander e Skander è anche il nome africano scelto per se stesso da Antonino Salamone, chitarrista e compositore nato ad Alessandria nel 1992 ma cresciuto tra l’Italia e la Tunisia. Alla faccia delle etichette nazionali, se lo ascoltiamo bene, l’impressione è che lui si senta principalmente “mediterraneo”.

Tale elemento permea in maniera integrale il suo ultimo lavoro IXXXI, un’opera che, oltre a vedere Skander alle chitarre, impegna nomi di rilievo del panorama popular orientato tra etnica, folk e progressive: mi riferisco agli importanti camei di Edmondo Romano ai fiati, Riccardo Barbera al contrabbasso, Matteo Rebora alla batteria e percussioni e Fabrizio Bertoli alle armonie vocali.

La tracklist pone subito qualche domanda, poiché la sequenza dei brani è ancorata tra un “capitolo 15” e un “capitolo 20”, come se prima vi fosse stato qualcosa d’altro al fine di portare avanti in discorso interrotto a priori.

Ma mi sono perso qualcosa? Eccome, infatti IXXXI è il quarto album dopo i precedenti Pagine del libro delle avventure (2019), Pangea (2020) e Luna: inno e evocazione (2021). Bisogna recuperare, perché il messaggio è forte e chiaro: ascoltare un disco di Rednaks è un po’ come salpare su un battello e solcare le acque del mare nostrum per visitare lembi di costa che sentiamo parte di noi, del nostro mondo e della nostra storia: ci sono la Grecia, la Turchia, la Catalogna, l’Andalusia, la Dalmazia, il Libano e il Maghreb, il tutto condito da una tecnica chitarristica sopraffina, dettagliata nei particolari e capace di assemblare o simulare mosse timbriche e dinamiche di altri cordofoni come il bouzouki, lo oud, se non addirittura il kanun.

Rednaks sa costruire ottime melodie in quanto orecchiabili e naturalmente popolari, come se fossero state generate da un canto, ma qui chi canta è – appunto – la chitarra a 6 e a 12 corde: ecco, proprio l’idea di usare la 12 corde, anche come strumento idoneo per interpretare parti melodiche, mi conduce ad avvicinare lo stile (e la poetica) di Rednaks a quella di Riccardo Zappa di Celestion, Chatra e Trasparenze. L’ho notato soprattutto in Le lacrime del tempo e in L’alba della marcia degli Elfi (dove non manca una simbiosi tra elementi di chitarrismo classico e folk con insoliti passaggi poliritmici).

Suggestivo l’incipit di Babilonia (brano tra la sensibilità del primo Pagani e qualcosa di moresco), così come Il suono ancestrale del cuore, in cui emerge l’intervento alla Stratos di Fabrizio Bertoli (sembra una coda di L’albero di canto, a proposito degli esordi di Pagani); in Odissea arrivano a conferire colore i fiati di Edmondo Romano e, con un balzo, siamo già tra Oriente e Occidente, a naufragare tra le correnti del Bosforo, così come nel finale di Le sabbie del tempo; però, qui si ha quasi la sensazione di essere arrivati a destinazione in un porto sicuro, ma, conoscendo Rednaks, per ripartire verso ulteriori orizzonti musicali.

(Riccardo Storti)  

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