MALAAVIA – Danze d’Incenso (Ma.Ra.Cash., 2004)

Vent’anni fa di questi tempi usciva il primo numero di contrAPPUNTI, il trimestrale del Centro Studi per il Progressive Italiano di Genova (che con un paio di cari amici * fondai nel lontano 2002). In teoria il CSPI, questo l’acronimo, esisterebbe ancora come pagina Facebook e quel gruppo di amici, di tanto in tanto si sente, però ormai è da parecchio che non si organizza più nulla, perché i casi della vita danno ordini spesso diversi rispetto ai propri desideri. Lo stesso contrAPPUNTI ha cessato la pubblicazione ormai nel lontano 2015. Però, caspita, su contrAPPUNTI abbiamo anche ospitato penne importanti e di notevole peso, ci siamo peritati nel riportare a galla gemme dimenticate e nel diffondere le novità del momento. Ecco perché, di tanto in tanto, andrò a recuperare alcuni miei articoli che scrissi sulla rivista per pubblicarli qui; spero di fare cosa gradita, visto che contrAPPUNTI ormai è diventato un ricordo, ma, come tutti i ricordi, rivive di sua natura, appena c’è qualcuno che lo lascia emergere. Così riprendiamo un lavoro dei campani Malaavia, Danze d’incenso. Buona lettura.

* I cari amici sono Cinzia Bruzzone, Fulvio Grosso, Pietro Dacci, Enrico Pietra, Marco Rinzivillo, Massimo Romagnoli, Massimo Simonelli, Pierpaolo Tondo

Era da un bel po’ che lo aspettavamo, questo concept album! E finalmente è arrivato.

D’altra parte sono diversi gli appassionati che seguono con curiosità i passi di questa band napoletana, tanto vicina, per sensibilità, alle suggestioni del prog italiano classico (Orme e Osanna), quanto ben radicata alla tradizione partenopea.

Danze d’incenso si muove attraverso tre sequenze (Delle danze, Della conoscenza e Tra balsami d’incenso) con richiami alle filosofie orientali ma anche alla quotidianità della Storia (pensiamo agli episodi Abraham, where is the land? e a Mezzalunafertile). Il disco va ben oltre le aspettative: c’è un’ambizione testuale e narrativa di ampio respiro che trova un naturale sviluppo in un tessuto musicale variegato e ricco di sorprese.

Da vero concept qual è, Danze d’incenso sfrutta l’idea del “tema conduttore”: l’opener Preludio di luna piena lo squaderna subito, in un sinuoso 5/4 su sonorità ormistiche, poi ripreso qua e là con la tecnica della variazione (pianistica in Soft Moon, quasi orchestrale in Cuori di elettricità, con la chitarra classica in Locus Amoenus e, infine, in un tempo composto – 3/4+4/4 – nell’emozionante Coda di luna calante).

La prima sequenza è quella più brillante, appariscente, colpisce l’orecchio al primo istante con una varietà di tinte sgargianti che toccano il folk mediterraneo (Abraham, where is the land? vede la partecipazione – e il passaggio di testimone musicale – di Lino Vairetti degli Osanna; Sahara –Marrakesh mette in evidenza le ottime doti canore della vocalist) ma anche il jazz rock (Smoke Rag e quella Desert Sounds in 5/4 dall’impronta Gong).

Meno dirette le altre due sequenze: quasi come in un processo di iniziazione, sino a che si tratta di “ballare” siamo tutti capaci, ma quando ci si addentra nella conoscenza e nei balsami d’incenso, l’impegno richiesto è un altro e, probabilmente, la sensibilità (solo) uditiva c’entra sino ad un certo punto. O almeno questo sembra essere il messaggio della banda.

Se restiamo al dato musicale, la densità aumenta ma, talvolta, ci si scontra con una pecca dovuta alla prolissità di alcuni brani. Il rischio è quello di perdere la bussola.

Sia bene inteso: la qualità è inequivocabile, il lavoro di strutturazione è attento al dettaglio, la registrazione ottima, però non sempre si può riuscire a catturare l’attenzione (più di tanto) sull’interattività di temi musicali che meriterebbero o ulteriori elaborazioni su diversi piani (ritmica, timbrica, armonia…) o scarnificazioni.

I Malaavia stanno elaborando un loro sound ma se nella mente hanno gli Osanna, nel cuore ci sono le Orme (il ritornello di Ombre); i testi di Pas Scarpato, molto particolari e sicuramente originali per tematiche e scrittura, risentono della lezione di quegli autori sufi così amati da Battiato (Ouspenskij e Gurdijeff).

Band affiatata con un fuoriclasse: il tastierista Oderigi Lusi. Al pianoforte è un consapevole virtuoso in quanto ha notevole tecnica e non eccede, anzi riesce ad incanalare quell’energia in capacità compositive (Softmoon) e citazionali (Bach’s Prelude).

Tra gli episodi meno convicenti: il Kyrie Eleison (che peccato sprecare una bella voce come quella di Mauriello della Nuova Compagnia di Canto Popolare per un clonazione del peggior Battiato degli anni Ottanta…).

Da incorniciare invece Vie interne: se l’operazione potrebbe sembrare simile a quella di Kyrie Eleison, in realtà il risultato è sensazionale. Un intelligente “scherzo” in formato discomusic rinforzato da giochini ritmico-armonici tutt’altro che scontati. Pare una canzonetta e la canzoncina rimane a ronzare nelle testa ma la sostanza è evidente (il sax di Muselli è inebriante, ma sentite anche cosa combina “sotto” il piano di Lusi).

Se dovessimo comunque scegliere un brano icastico del disco, partiremmo dalla fine con Coda di luna calante: è quello più legato al prog storico europeo, l’atmosfera ricorda i Camel di Moonmadness (come per Danza d’incenso), il tempo dispari non è invadente. La migliore conclusione per un album dalle ottime intenzioni e dagli esiti, comunque, soddisfacenti.

Tratto da “contrAPPUNTI”, a. I, n. 1, marzo 2004.

(Riccardo Storti)

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